C’era qualcosa che mi impediva di alzarmi da quella poltrona: era l’orrore.
L’impossibilità di compredere quali inimmaginabili limiti il genere umano riesca a superare.
quando le luci si sono riaccese non c’era più realtà. Non c’era più finzione.
Sapevo che le due cose si erano fuse in un unico grido di sofferenza che riuscivo, distintamente, a sentire nelle mie orecchie.
E non mi lasciava in pace.
La cosa più irreale , in quel momento, era staccare gli occhi da quello schermo doloroso e ricominciare a vivere.
Ricominciare nella “normale” serenità che accompagna le nostre vite.
Qualche volta mi è sembrata noiosa questa serenità. Addirittura troppo pesante, quasi insostenibile.
E me ne vergogno.
Questo è quello che ho scritto di getto dopo aver visto “Valzer con Bashir”. Un poetico, meraviglioso.
L’espediente del fumetto rende “Valzer con Bashir” fruibile a molti.
Forse questa scelta è stata dettata dal desiderio di non scioccare il pubblico. Probabilmente non era intenzione del regista innescare polemiche; al contrario, Folman, narra una tragedia personale e internazionale con una delicatezza e una leggiadria ineguagliabili.
Dapprima con gli occhi ancora distaccati del diciannovenne che nel 1982 partì per il Libano, poi con la crescente consapevolezza che quello che ha vissuto, ha involontariamente aiutato a portare a compimento uno dei più orribili episodi di violenza degli ultimi decenni.
L’ingenuità, però non gli impedirà di sentire su di sé il dolore e l’orrore di ciò che stava succedendo sotto i suoi occhi.
I corsi e ricorsi della storia.
Una storia che si ripete e un Uomo che non impara mai dai suoi errori. PURTROPPO.
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